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      Io non so quello ch'egli abbia detto ad Alfio ma, per caso, lo trovai, nel piccolo corridoio dinanzi allo studio di Alfio, subito dopo la loro intervista, che s'asciugava il sudore della fronte. Quella sua testa, nuda al vertice, ma munita di tanto pelo alla base sino al collo, aveva una grande inclinazione al sudore.
      Alfio non ci pensò di cambiare la sua pittura, ma il Bigioni s'affrettò a cambiare di gusto. Voleva comperare a tutti i costi un dipinto di Alfio. Sempre più si convinceva della bellezza di quei lavori. Ma Alfio teneva duro. Egli voleva essere sicuro che chi comperava un suo dipinto (che io qualificavo di pittura a sguazzo) sapesse anche apprezzarlo. E un giorno il Bigioni venne da me a pregarmi non più di procurargli l'amore di Antonietta ma solo l'amicizia di Alfio e pregare questi di vendergli un quadro. Non si poteva più dire che il Bigioni fosse monotono. Ed io non m'annoiai a starlo a sentire. Tutt'altro. La sua proposta mi cacciò il sangue alla testa all'accorgermi come io ero privo di ogni influenza in casa mia. Non potevo procurargli l'amore di Antonietta e a questo dovevo adattarmi perché evidentemente non era l'ufficio mio, ma non potevo neppure indurre Alfio a trattare meglio il povero Bigioni. Nulla potevo io e, sentendomi tuttavia gravato da una certa responsabilità, per rabbonire il Bigioni gli proposi qualche cosa che con ingenuità incredibile a me per un momento parve potesse compensarlo del rifiuto di Alfio: Gli proposi cioè di vendergli io il quadro di Alfio, quello che tenevo nascosto nel mio cassetto, allo stesso prezzo a cui era stato venduto a me.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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