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      Ma il Bigioni neppure volle vedere il quadro e scappò come se io avessi intonata la nona sinfonia guardandomi con l'aria di chi cessa una discussione per paura di essere truffato. Questa volta fu lui ad apparirmi scortese e gli guardai dietro pieno di risentimento. Poi mi ravvisai. Il Bigioni voleva comperare Alfio stesso e non il suo quadro. Se comperava da me il quadro correva il rischio che Alfio s'arrabbiasse anche di più con lui.
      Ma io credo che il Bigioni sarebbe scappato da quella nostra casa ch'era per lui una vera casa di pena se non ci fosse stata Clara, la sorella di Valentino. Dopo la morte del fratello essa, ch'era di qualche anno più vecchia di Antonia, veniva ogni giorno a tener compagnia ad Antonia per due ore nel pomeriggio. Dapprima io non sapevo amarla. Prima di tutto non mi piaceva, così grassa e quadra, con quelle gambe carnose sulle quali sarebbe stata tanto bene una gonna pulitamente lunga come si usava ai miei tempi. Aveva degli occhi belli, vivi, talvolta nel sorriso maliziosamente velati, ma non erano degli occhi che a quel corpo appartenessero e perciò vieppiù lo abbruttivano dandogli un rilievo maggiore. Poi, avendola conosciuta tanto buona e dolce, l'amai anch'io. Augusta poi le portò un affetto fatto soprattutto di riconoscenza. Per lei quella figlia sempre piangente era un vero ingombro e quando veniva Clara, essa ne era liberata per intere due ore. Io non lo so per averlo constatato io ma Augusta m'assicurò che Antonia, quand'era in compagnia di Clara, piangeva molto meno.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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