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      La gaffe proprio mi perseguita nei miei vecchi anni.
      Eravamo seduti nella veranda dopo cena nell'ora in cui di solito echeggiava il canto del mio ubbriacone. Avevamo un po' chiacchierato e, causa il paragone con le altre sere, oso dire allegramente, per quanto quell'allegria fosse stata impiegata a lagnarmi con qualche amarezza, di mio nipote Carlo, il figlio di Guido, che mi pareva, quella sera, pieno di difetti, poco affettuoso e poco serio. Antonietta m'aveva appoggiato e ciò contribuiva a rendere la mia loquela più facile ed abbondante. Era un conforto grande quello di sentirmi appoggiato dalla mia figliuola. Sono tanto solo sempre! Mi pareva di procedere appoggiato al suo braccio, o il suo lieve peso sostenuto dal mio.
      La mia distrazione provenne da una mia passeggiata alla cinta della villa sul viottolo per vedere se, per rendermi più lieto ancora, non fosse passato il mio ubbriaco. Quella sera non venne. Risi pensando che forse potesse avere bevuto più della sua solita misura e cantasse ora la sua dolce canzone sdraiato su qualche banco in un giardino. Certo anche se non poteva cantare senza musica non sarebbe stato capace di addormentarsi.
      Era tardi e volevo coricarmi. Ma prima volli ringraziare Antonietta di avermi procurata una bella ora. Baciandola in fronte mormorai: «Grazie, figliuola mia. Abbiamo passato insieme una bella serata».
      La sua faccina subito si oscurò. Restò un momento silenziosa eppoi disse lentamente come se avesse studiato se stessa: «Sì, la stessa serata come se Valentino non fosse morto». Rimase ancora per un istante esitante.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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