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      Poi scoppiò in singhiozzi e corse via verso la sua stanza. Augusta subito la seguì ma Antonietta vedendola entrò e vi si chiuse dentro, Augusta restò dinanzi alla porta pregandola a bassa voce di aprire. Antonietta non rispose e allora io indignato volsi le spalle a quella porta e m'avviai a letto. Ero oltreché indignato anche molto offeso. Dio mio! È difficile a settant'anni non risentirsi di una mancanza di rispetto.
      E durò lungo tempo la mia ira. Io m'ero coricato ma non trovavo il sonno. Tardi trovai qualche cosa d'altro: Il sospetto di aver sbagliato io. Perché avevo sentito il bisogno di constatare ch'essa s'era lasciata svagare dalle mie chiacchiere sul carattere di Carlo? Essa provava un rimorso quando abbandonava anche solo qualche ora il suo dolore e il pensiero al defunto ed io lo sapevo ed avevo sentito io il bisogno di farla subito avvisata che deviava così? E intravvidi la possibilità che un discendente mio fosse stato così incline a dedizioni totali e a voti. Mi rivedevo in Annetta benché contorto e ancora meno amabile. Fu un piccolo incubo. E allora anche la pittura di Alfio poteva essere mia? Ora che col grammofono io avevo corretto la mia musica ricordavo come, finché avevo suonato il violino, essa era stata composta di suoni approssimativi e di ritmi sbagliati, qualche cosa di analogo alla pittura di Alfio. Mi ribaltai nel letto pieno di rimorsi.
      Quando Augusta venne a raggiungermi a letto tentai di riavermi e di ribellarmi a quel giudizio sul mio contegno e anche a quella visione d'essere io - benché innocente - la fonte di tutte le bestialità che inquinavano la mia casa.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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