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      E sapeva giuocare tutti i giuochi. Da pochi anni io so ch'esiste un giuoco difficilissimo che si chiama bridge. Ma ne appresi l'esistenza simultaneamente alla comunicazione che in città il miglior giuocatore di tale giuoco appena arrivato dall'Inghilterra era Carlo. "Figlio di un cane" pensai io, ma senza ricordare ch'egli era il figliuolo di Guido "sa tutti i giuochi costui. Ed è persino superiore a me nell'unico giuoco a carte ch'io tuttavia pratico, quello di un solitario non troppo complicato". Tutti gli altri giuochi io da molti anni lasciai. Quando negli ultimi anni mi sedevo ad un tavolo da giuoco, mi sentivo subito condannato, ciò ch'era un sentimento tanto penoso che dovetti smettere. Curioso! Mi sento tanto giovine e sono tanto differente da quello ch'ero nella mia giovinezza. Che fosse la vera, la grande vecchiaia cotesta?
      Con un colpo d'occhio egli m'avvisava di un errore. M'abbandonava poi per dedicarsi al suo giornale e ripiombava nel mio giuoco con un accenno opportunissimo che mi serviva moltissimo e che a me che fissavo continuamente le carte perveniva come un aiuto necessario. Però benché non lo facessi vedere il suo intervento mi seccava e turbava perché io amo il solitario perché è solitario. Poi mi rassegnavo: Già è noto che chi è fuori del giuoco lo intende meglio del giuocatore ch'è distratto dallo stesso sforzo cui si costringe.
      La sua compagnia m'era graditissima. Io ero sempre in cura del dottor Raulli ma a quest'ora il purgante che giornalmente prendevo era prescritto da Carlo, da un mese a questa parte è suo anche l'espettorante (che a dire il vero dapprima mi parve una cosa miracolosa e adesso meno). Infine la mia dieta, sempre per suo consiglio, si fece sempre più esagerata.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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