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      Improvvisamente Carlo scoppiò a ridere ed io passai un momento veramente atroce. Non poteva parlare dal ridere e perciò il mio imbarazzo si prolungò tanto ch'io stavo preparandomi alla difesa. Avrei continuato a difendere con le mani e coi piedi la felicità del mio matrimonio come avevo saputo farlo nel corso di tanti anni. Trovai! Ero pronto a dichiarare ch'io avevo ingannato Carlo per ridere con lui. Lui era l'ingannato, ingannato da me, e nessun altro. Per Augusta bastava questo. Ma come sarebbe stato per Alfio e per Antonietta più giovini e più maliziosi?
      Quando Carlo poté parlare mi domandò: «Da quanti anni non sei più fedele?».
      Io balbettai: «Non capisco». Non protestai la mia innocenza perché intanto capivo che Carlo non poteva voler parlare dei miei recenti tradimenti che forse non c'erano e di cui, certo, lui non poteva saper nulla. Se avesse domandato invece da quanti anni io fossi fedele, allora avrei subito protestato: «Sempre lo fui e ho deriso e ingannato solo te, birbante».
      «Perché» spiegò Carlo «lo stato attuale dello zio non può più esser qualificato di fedeltà. Volevo perciò sapere da quanti anni non fosse più fedele».
      Egli toccava un tasto alquanto delicato, ma meno delicato di quello che prima aveva minacciato. Io ficcai il naso nel piatto per celarvi il viso che poteva essere segnato dalla confusione. Poi volli ridere: «Toccherà anche a te di arrivare alla fedeltà per forza».
      Ma Carlo, e qui si dimostrò la sua discrezione, rispose: «In me si chiamerà altrimenti perché non sarà stata preceduta dalla fedeltà voluta».


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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