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      Io respirai ma avevo passato un quarto d'ora tanto brutto che mi proposi che quando Carlo sarebbe finalmente ritornato a Buenos Aires, io avrei per sempre rinunziato alla sincerità per quanto potesse dolermi. Perché abbandonarmi ora per amore di una stupida chiacchiera, ora che non correvo altri pericoli?
      Già allora si parlava di una sua relazione con una donna sposata e doveva essere questa che lo tratteneva a Trieste perché già son sicuro che neppure a Buenos Aires mancano gli ammalati che abbisognano di cure. Sua madre aveva scritto per richiamarlo a sé ma egli aveva fatto le orecchie di mercante. Aveva dei riguardi per quella madre che viveva proprio per lui, rimasto il solo figliuolo per la morte dell'altro gemello, e le scriveva una breve cartolina postale ogni giorno. Ma non le stava accanto volentieri. Pare ch'essa lo tormentasse con troppe manifestazioni d'affetto e lo trattasse sempre come un bambino che abbisognasse di carezze e raccomandazioni. Io ridevo di quelle cartoline postali che dovevano arrivare in cumulo a Buenos Aires. Carlo, rassegnato, mi spiegava ch'essa era fatta così. Avrebbe ordinato quelle cartoline postali, rivisto se ce ne fosse una per giorno e si sarebbe anche lagnata se non avessero combaciato coi giorni del calendario. «Capisco» soggiungeva con un sospiro «che dovrò finire col raggiungerla». Eppoi: «Già, anche a Buenos Aires ci sono delle donne».
      L'esagerazione di Ada m'interessava anzi, un po', mi sollevava. Purtroppo là io non ci entravo affatto.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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