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      Essa mi guardò sorpresa e per vedermi meglio s'allontanò da me pendendo per un momento ancora più fortemente per indietro. A dire il vero un atteggiamento strano, ma che le dava una certa grazia di persona sicura che sa conservare l'equilibrio più difficile.
      «Come vuoi» disse stringendosi nelle spalle. Poi, per essere sicura di avermi inteso bene, al momento di aprire la porta, mi domandò: «Dunque non ci vediamo più?». E mi guardò scrutando la mia faccia.
      «Certo, non ci vediamo più» dissi io con qualche stizza. M'accingevo a scendere le scale quando rumorosamente si avvicinò alla porta il grosso Misceli urlando: «Aspetta, aspetta, vengo anch'io con te. Ho già detto anch'io alla signorina quante sigarette sport m'occorrono. Cento. Come a te». Scendemmo insieme le scale mentre Felicita dopo una lunga esitazione di cui mi compiacqui rinchiuse la sua porta.
      Scendemmo la grande erta che conduceva a piazza Unità, lentamente, attenti di mettere i piedi a posto. Sull'erta egli, più pesante, appariva certamente più vecchio di me. Ci fu anzi un momento in cui incespicò e minacciava di cadere, ed io prontamente lo soccorsi. Non mi ringraziò. Era un po' affannato ed il travaglio su quell'erta non era ancora finito. Perciò, solo perciò non parlava. Tant'è vero che quando giungemmo in pianura dietro al palazzo municipale, sciolse lo scilinguagnolo e parlò: «Io, le sport non le fumo. Ma è la sigaretta preferita dal nostro popolo. Ho un regalo da fare al mio falegname e allora volevo procurarmene di buone, di quelle che la signorina Felicita sa procurare». Adesso che parlava non sapeva più procedere che passo a passo.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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