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      Le parole suonavano abbastanza bonarie, scritte come sono su questa carta, ma il tono era piuttosto forte pregno d'ira e di disprezzo. Arrossato nel grosso volto egli s'era accostato a me e mi misurava più piccolo di me guardando in alto come se avesse cercato di scoprire sul mio corpo il punto più vulnerabile da colpire. Perché ce l'aveva con me nello stesso momento in cui si dichiarava non geloso? Che altro gli avevo fatto? Può essere egli l'avesse con me perché aveva arrestato il suo treno a Sesanna quando egli s'apprestava di arrivare a Berlino.
      Neppure io ero geloso. Cioè avrei voluto sapere quanto egli pagasse mensilmente a Felicita. Mi pareva che se avessi saputo che - come a me pareva giusto - egli avesse pagato più di me, io mi sarei dichiarato contento.
      Ma non ebbi il tempo neppure d'indagare. Tutt'ad un tratto il Misceli si fece più mite e s'appellò alla mia discrezione. La sua mitezza si convertì in minaccia quando ricordò ch'eravamo uno in mano dell'altro. Lo rassicurai: Ero sposato anch'io e sapevo quale importanza poteva avere nel nostro caso una parola imprudente.
      «Oh!» fece lui con un gesto rassicurante «non è per mia moglie ch'io ti raccomando la discrezione. Mia moglie di certe cose non si occupa da lunghi anni. Ma so che anche tu sei in cura del dottor Raulli. Ora egli minacciò di abbandonarmi se non mi tenevo alle sue prescrizioni, se bevevo un solo bicchiere di vino, se fumavo più di dieci sigarette e quelle denicotinizzate al giorno e non m'astenevo... da tutto il resto.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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