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      Non trovai parole; quasi non trovai l'aria per respirare. Dissi: «Uff» con la massima indignazione. Credetti di aver detto qualche cosa ed anzi restai per un istante fermo come se mi fossi atteso che a quel mio «uff», un grido che doveva ferire lei e dar sfogo al mio profondo sconforto, essa avrebbe risposto qualche cosa. Ma né lei, né io dissimo altro. Io mi accinsi a scendere le scale. Fatti pochi scalini mi fermai, e mi rivolsi a rivederla. Forse c'era ora su quella faccia pallida qualche segno che smentisse tanto duro egoismo, tanto freddo calcolo. Non ne vidi la faccia. Essa era tutt'intenta a cacciare la chiave nella toppa per chiudere il quartierino che doveva e restar vuoto per qualche ora. Io ancora una volta dissi: «Uff», ma non più tanto ad alta voce da essere sentito da lei. Lo dicevo a tutto il mondo, alla società, alle nostre istituzioni e a madre natura che avevano tutti permesso ch'io mi trovassi su quella scala e in quella posizione.
      Fu il mio ultimo amore. Adesso che tutta l'avventura è andata a ordinarsi nella regola del passato, non lo ritengo più tanto indegno, perché Felicita con quei suoi capelli biondi, la faccia pallida, il nasino affilato, gli occhi misteriosi, la parola parca che non spesso rivelava quanto freddo fosse quel suo cuore, può essere rimpianta. Ma, dopo di lei, non ci fu posto ad altri amori. Essa m'aveva educato. Io, fino ad allora, quando il caso mi permetteva di soggiornare per oltre dieci minuti presso una donna, sentivo sorgermi dal cuore speranza e desiderio.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Felicita