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      In piazza Goldoni fummo fermati dal vigile e mi destai. Vidi allora avanzarsi verso di noi e, per evitare altri veicoli, accostarsi al nostro fino a rasentarlo, una fanciulla giovanissima vestita di bianco con nastrini verdi al collo e strisce verdi anche sulla leggera mantellina aperta, che in parte copriva il suo vestito pur esso di un bianco candido interrotto come sulla mantellina da lievi tratti di quel verde luminoso. Tutta la figurina era una vigorosa affermazione della stagione. La bella fanciulla! L'evidente pericolo in cui si trovava la faceva sorridere mentre i suoi grandi occhi neri spalancati guardavano e misuravano. Il sorriso faceva trapelare il biancore dei denti in quella faccia tutta rosea. Alte teneva le mani, al petto, nello sforzo di farsi più piccola, e in una di esse c'erano i guanti morbidi. Io vidi esattamente quelle mani, la loro bianchezza e la loro forma, le lunghe dita e la piccola palma che si risolveva nella rotondità del polso.
      E allora, io non so perché sentii che sarebbe stato crudele che l'attimo fosse fuggito senza creare alcuna relazione fra me e quella giovinetta. Troppo crudele. Ma bisognava far presto e la fretta creò la confusione. Ricordai! C'era già tale relazione fra me e lei. Io la conoscevo. La salutai piegandomi verso la lastra per essere visto, e accompagnai il mio saluto con un sorriso che doveva significare la mia ammirazione per il suo coraggio e la sua giovinezza. Subito poi cessai il sorriso ricordando che scoprivo il tanto oro che c'era nella mia bocca e restai a guardarla serio e intento.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Goldoni