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      Il tempo fa le sue devastazioni con ordine sicuro e crudele, poi s'allontana in una processione sempre ordinata di giorni, di mesi, di anni, ma quando è lontano tanto da sottrarsi alla nostra vista, scompone i suoi ranghi. Ogni ora cerca il suo posto in qualche altro giorno ed ogni giorno in qualche altro anno. È così che nel ricordo qualche anno sembra tutto soleggiato come una sola estate, e qualche altro è tutto pervaso dal brivido del freddo. E freddo e privo di ogni luce è proprio l'anno in cui non si ricorda proprio niente al suo vero posto: trecento e sessantacinque giorni da ventiquattro ore ciascuno morti e spariti. Una vera ecatombe.
      Talvolta in quegli anni morti si accende improvvisa una luce che illumina qualche episodio nel quale allora appena si scopre un fiore raro della propria vita, dal profumo intenso. Così mai la signorina Dondi mi fu tanto vicina come quel giorno in piazza Goldoni. Prima, in quel giardinetto (quanti anni addietro?) io quasi non l'avevo vista, e, giovine, le ero passato accanto senza scorgerne la grazia e l'innocenza. Ora appena la raggiunsi, e gli altri vedendoci insieme si misero a ridere. Perché non la vidi, non l'intesi prima? Forse nel presente ogni avvenimento è oscurato dalle nostre preoccupazioni, dal pericolo che su noi incombe? E non lo vediamo, non lo sentiamo che quando siamo lontani, in salvo?
      Ma io qui nella mia stanzetta posso subito essere in salvo e raccogliermi su queste carte per guardare e analizzare il presente nella sua luce incomparabile e raggiungere anche quella parte del passato che ancora non svanì.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Dondi Goldoni