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      Chissà come nel presente guardato attentamente ritroverò qualche tratto della mia giovinezza che le mie gambe stanche non mi permettono di inseguire e che cerco di evocare perché venga a me. Già nelle poche righe che stesi la intravvidi, mi invase in modo da arrivare a diminuire nelle mie vene la stanchezza della mia età.
      C'è però una grande differenza fra lo stato d'animo in cui l'altra volta raccontai la mia vita e quello attuale. La mia posizione s'è cioè semplificata. Continuo a dibattermi fra il presente e il passato, ma almeno fra i due non viene a cacciarsi la speranza, l'ansiosa speranza del futuro. Continuo dunque a vivere in un tempo misto com'è il destino dell'uomo, la cui grammatica ha invece i tempi puri che sembrano fatti per le bestie le quali, quando non sono spaventate, vivono lietamente in un cristallino presente. Ma per il vegliardo (già, io sono un vegliardo: è la prima volta che lo dico ed è la prima conquista che devo al mio nuovo raccoglimento) la mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai, il futuro, rende la vita più semplice, ma anche tanto priva di senso che si sarebbe tentati di usare del breve presente per strapparsi i pochi capelli che restarono sulla testa deformata.
      Ed io, invece, m'ostino a fare qualche cosa d'altro in tale presente e se c'è, come spero, lo spazio per svolgervi un'attività, avrò dato la prova ch'è più lungo di quanto sembri. Misurarlo è difficile e il matematico che volesse farlo sbaglierebbe di grosso e darebbe la prova che non è cosa per lui.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387