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      Io penso di sapere almeno come alla misurazione si dovrebbe procedere. Quando la nostra memoria ha saputo levare dagli avvenimenti tutto quello che in essi poteva produrre sorpresa, spavento e disordine, si può dire che essi si sono trasferiti nel passato.
      Ho pensato tanto a lungo a questo problema che persino la mia vita inerte mi diede l'occasione ad un'esperienza che potrebbe chiarirla se altri volesse ripeterla con istrumenti più precisi cioè mettendo al posto mio un uomo meglio di me educato a registrazioni esatte.
      Un giorno della passata primavera Augusta ed io fummo tanto coraggiosi da varcare con la nostra macchina Udine e fare colazione in una celebre locanda ove ancora si conservò l'arte lenta ed infallibile dello spiedo. Poi procedemmo ancora un po' verso la Carnia per vedere più vicine le grandi montagne. Presto fummo presi dalla stanchezza dei vecchi, quella che proviene loro dall'inerzia in posizioni troppo comode. Abbandonammo la macchina e sentimmo tanto forte il bisogno di sgranchirci le gambe che ci arrampicammo su una breve collina boscosa che sorgeva accanto alla strada maestra. Lassù ebbimo una sorpresa che fu un premio. Non vedemmo più la strada e neppure i campi ai piedi della cima cui eravamo arrivati ma soltanto innumerevoli, dolci, verdi colline che ci impedivano di vedere altro che le vicine enormi montagne dalle cime di roccia azzurra che ci guatavano molto serie. A piedi eravamo riusciti a mutare di contorno più presto che con la macchina ed io trassi un profondo sospiro di sollievo: una gioia che non dimenticai più. Era dovuta quella gioia alla sorpresa, o all'aria balsamica priva della polvere della strada, o alla nostra solitudine che pareva completa?


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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