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      La mattina, a mezzogiorno e la sera, quando ci mettevamo a guardarli o parlavamo tutt'insieme, pareva capissero che si diceva di loro e attaccavano un cinguettio chiassoso, sonoro e assordante da farci turar gli orecchi. E poi, come se si desser l'intesa, a un tratto silenzio perfetto. Era una maraviglia a sentirli.
      Cominciava un canarino con una vocina soavissima appena udibile a attaccare una nota; ma così pianino e tanto delicatamente, che era difficile accorgersi quale fosse fra i cento: a un tratto, gli rispondeva un coretto di tre o quattro e poi insieme, e via a testa all'aria, guardando noi: oh che inni di gloria, che canti di amore, che misterioso linguaggio caldo, soavissimo, indimenticabile....
      A volte, seccati, li facevamo smettere battendo sulla gabbia: svolazzavano un pò giojosi come in un turbine con l'ali color d'oro; e poi via ancora, ci sfidavano con quelli occhietti neri, brillanti festosi.
      Io amavo teneramente que' piccoli esseri che mi parevano tanto felici, in apparenza: molti fra i più vecchi, mi venivano sulle spalle, sulla testa, a beccarmi e strapparmi il semino di zucca che mostravo loro fra le stecche della gabbia.
      C'era fra quelle bestioline una passera che io avevo educata a far qualunque gioco: era un'ossessione; non mi lasciava un momento; a desinare, mi si metteva sur una spalla e mi tormentava per le briciole di pane o di savojardo che io le davo: visse meco più d'un anno fuori della gabbia, perchè i canarini s'erano provati varie volte a ucciderla; sapeva le ore del mio ritorno da scuola; s'appollajava sulla finestra, e appena mi vedeva spuntar dall'angolo di via della Polveriera, spiccava il volo e mi veniva addosso.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





Polveriera