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      I briachi m'hanno sempre ributtato; e, dico il vero, io poi non sono mai stato ubriaco, avendomi la natura disposto il corpo in modo da farmi ricusar di bere di pių, oltre il limite che il mio stomaco comporta (vantaggio questo che č una vera fortuna). Portavo dunque il mio bravo Noč, che girava su sč stesso come un arcolaio, verso casa; ma eravamo lontani da via Panisperna, e vedevo che l'uomo era proprio un cicco. Lo pianto dunque sotto un arco, lontano dalla strada, lo copro col mantello e gli tengo questo fervorino: - Senti bello mio: una volta n'hai toccate da me; ora sei cotto come un gambero: la terza ti porto all'ospedale; dormi, dormi, e smaltisci, qui alla brezzolina, la sbornia e la vigliaccheria.
      E cosė lo lasciai pių morto che vivo.
      Ma torniamo a Livorno.
      Il terzo figuro, col quale mi trovai a vivere in codest'anno, fu un Pisano, certo Pietro Sigheri, giallo come un peperone vernino; aveva la pelle attaccata all'ossa e due occhi di falco cattivi e maligni. Due baffettini rosicchiati gli coprivano il labbro superiore: aveva l'unghie nere nere e se le rodeva ogni poco; e le piote lunghe lunghe, dentro due scarponi che non lustrava mai: il colletto della camicia, il bavero della giacchetta, il cappello, gli orli degli orecchi, i capelli arruffati, dicevano subito che era un porco lezzone. E porco lezzone fu: capace d'ogni pių bassa vigliaccheria; sentirete.
      Compiva la quaterna, un gobbo, pisano anche lui, pare impossibile. Il gobbo Tifa, era il tipo pių bello di gobbo reale che sia esistito al mondo: sulla groppa e sul petto aveva due enormi poponi che si sarebber potute dire montagne: era costretto ad allungare il braccio - corto corto - sul tavolino per trasmettere in tralice, perchč stando diritto, la gobba, gl'impediva di potersi avvicinare di pių di quel tanto: - aveva il viso arcigno e gli occhi di volpe: una vociolina fessa fessa e antipatica, e un'aria di sussiego che con quella gobba proprio faceva crepar dalle risa.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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