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      Versai amare e calde lacrime seduto sur una sedia, nel mezzo della mia cameruccia, finchè non sentii giù, sotto la finestra, la ben nota e cara voce di Mosè che mi chiamava. Mi rasciutto le lacrime lesto lesto; prendo il cappello, il denaro, scendo e cammin facendo ripago il debito, gli annunzio la mia partenza e lo prego di scrivermi sempre e di non scordar mai il suo infelicissimo Giulio.
      Povero Lemmi, com'era buono e affezionato: pianse meco, e mi giurò che mai e poi mai avrebbe dimenticato l'amico del cuore, il compagno d'ideali, il fratello nella lotta. E le sue parole furon schiette e sincere come oro sonante, perchè continuammo per molti anni ancora la nostra amicizia, sempre più rafforzata da sentimenti, non solo di simpatia, ma da legami politici e fraterni.
      Giulio del Giapponesino mi dimostrò anche lui quanta nobiltà di cuore, quanta gentilezza, quanto altruismo albergassero nel suo animo di plebeo; gli caddero grossi lucciconi il giorno che mangiai l'ultimo stufatino che volle fare con le sue mani, in quel lieto e tranquillo ritrovo nostro, dove non erasi trovato altro che schietto entusiasmo, un'amicizia senza secondi fini e una cordialità oltre che toscana, livornese; nel sistemare le nostre cose, non volle prender tutto, e mi dissero, la moglie e lui a una voce, che gli avessi fatto l'onore di considerarli come fratello e sorella; mi fu forza accettare uno sconto di dieci lire; poi, la mattina che partii, volle accompagnarmi a far certe piccole spesette, fra le quali una bella macchinetta da caffè a spirito, che volle pagar lui, per ricordo, - perchè tutte le mattine - disse con gli occhi rossi - quando si fa il caffè, si ricordi di noi, e specialmente di me, che ni vo' bene come a 'n fratello.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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