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      Mi contentai di mandarlo via a spintoni, dicendogli un sacco d'impertinenze.
      Non ci crederete! dopo otto giorni, alzando gli occhi dall'apparato per guardare il treno diretto di Firenze che partiva, vedo, o non vedo? si è lui, è proprio lui, Giulio D'Able, vestito da concierge con tanto di berretto co' galloni d'oro dell'Hôtel Costanzi o Bristol, salvo il vero.
      Veda il lettore come sono fortunate le canaglie e gl'impronti! Fosse stato un povero diavolo che avesse magari rubato un pane pe' poveri figliolini suoi, la galera! a costui, falsario, ladro e miserabile, vento in poppa!
      E passò dinanzi a me e mi guardò come sfidandomi: mi morsi le mani per non potergliele sbattacchiar sul muso di ladro, e ogni volta che me ne ricordo gli mando l'unica giaculatoria che si meriti: «Porco d'un tedescaccio affamato e ladro, va' via di qua, ritorna a tuoi paesi del sevo e della salsiccia».
      Naturalissimo che, con la presa di Roma, scopo della quale era per l'Italia la sua legittima capitale come coronamento di quell'unità per cui avevano tanto sofferto innumerevoli martiri lasciando il corpo sui campi di battaglia, dal '48 al '70; si riversassero sull'Eterna città i fratelli di tutte le Provincie. Roma s'era centuplicata; trasportata la Capitale da Firenze, la regina dell'Arno s'era sentita più vuota e più sola, ma non meno italiana delle sue altre sorelle; Torino, che aveva visto il re allobrogo prima scendere trionfante sulle rive dell'Arno; poi su quelle del Tevere. Mi ricordo che circolò in Firenze in quei giorni un'epigramma salace che fotografava, per così dire, la situazione creata dal nuovo stato di cose italiane:


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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