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      Non mi importava di essere da piú o da meno degli altri uomini, mi bastava di esserne diverso.
      In tutta la mia vita ho operato come ho pensato - convulsivamente. Dicono che i leoni si trovano in uno stato di febbre continuo. Ignoro quale medico abbia potuto accertarsi di questo fenomeno, come avrebbe fatto al capezzale di un infermo; ma sia ciò vero o non vero, sia la mia natura debole o forte, non vi è dubbio che io ho provato sempre una specie di agitazione febbrile e convulsa simile a quella.
      Io mi sono divorato la vita. Io non potrei misurare la mia età colla stregua ordinaria del tempo.
      Aveva ventotto anni allorché successero gli avvenimenti che sto per raccontare. La rivoluzione mi aveva trascinato già da tempo nelle sue file, quasi mio malgrado. Deviato da' miei studi, combattuto nelle mie inclinazioni, mi era indotto a rimanere nell'esercito ove aveva ottenuto grado di ufficiale. Io vi militava da cinque anni, allorché colpito da una grave malattia di cuore dovetti chiedere una lunga licenza, e ritirarmi nel mio villaggio natale. Gravi rovesci di fortuna mi avevano impedito di camparmi la vita in altro modo che coll'essere inscritto nei ruoli di un reggimento, e far pompa del mio costume di capitano. E dico ciò perché allora la guerra era cessata, e mi vergognava spesso di quell'inazione ricompensata sí largamente. Io riscuoteva un lauto assegnamento sulle casse dello Stato.
      Non parlerò adesso dei dolori che avevano provocata quella mia malattia. Essi appartengono ad un'altra epoca della mia vita; furono il frutto di una passione che, ove non mi fosse inspirata dal piú nobile dei sentimenti, avrebbe coperto di onta il mio passato.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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