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      Ho conservato memoria di quei giorni in un diario scritto sotto l'impressione di quei dolori segreti di cuore, che non giova ora qui riportare.
      Allorché mi allontanai da quel luogo, e sostato nella prima città che incontrai nel mio viaggio, confrontai il mio volto con quello di altri uomini, mi chiesi con spavento se io era ancora lo stesso di un tempo, se era diventato dissimile da loro, se sarei sopravvissuto a quel giorno.
      Aveva imparato a disperare troppo precocemente.
      Allora non prevedeva l'aurora luminosa che doveva sorgere ancora sulla mia gioventú, e che doveva tramontare sí presto!
     
      III
     
      Ho parlato del mio paese natale.
      Mi duole che queste pagine non sieno destinate a venire alla luce, per poter rendere publico un odio che conservo da lunghi anni nel cuore, l'unico che il tempo e la riflessione non abbiano fatto che avvalorare ed accrescere.
      Io amo la terra, questa grande madre, questa gran patria comune; io l'amo tutta senza distinzione di suoli e di climi; l'amo come una parte di me, io che non sono che una porzione minima di lei stessa.
      Io ho sentito spesso le sue attrazioni, l'appello che ella fa a' suoi atomi, le sue creature; agli uomini, le sue particelle animate. A primavera, quando il sole la dardeggia de' suoi raggi; in quel periodo di febbre, di ardenze, di fecondità, quando dal suo seno pieno di amore erompono le famiglie degli insetti e delle erbe, quando ella sorride di un sorriso pieno d'incanti e di fiori, io ho sentito spesso con una specie di furore il desiderio di rientrare nel suo seno; io mi sono prosteso per abbracciarla; ho sentito che essa mi chiamava, e ho gridato: «Tu mi vuoi, tu mi chiami, - io vengo, io vengo». Sí, io amo la terra, questa bella terra; io son certo che essa sarà lieve sulla mia fossa, quando stringerà dolcemente il mio petto colle sue braccia di selci e di radici; ma vi è in essa un punto che io odio, ed è quell'angolo freddo e uggioso dove son nato.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213