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      - Dacché ho lasciato Milano, sono vissuto in un isolamento il piú rigoroso, ho paura di ammalarmi di solipsia; ma come uscir fuori di questo paese? La campagna è una landa, una brughiera; non vi è un'ombra, non vi ho ancora veduto un giardino, un fiore; io che vo' pazzo dei fiori come le femmine. Sta bene che siamo in agosto...
      Fosca si alzò senza dir nulla, entrò nella stanza vicina, e ritornò subito dopo, tenendo in mano un mazzetto piccolissimo di fiori che mi offerse senza parlare.
      Quell'atto mi sorprese e mi turbò nel piú profondo dell'anima. La sua offerta era stata fatta tanto opportunamente, e con tanta delicatezza che ne fui colpito. Ella s'avvide forse del mio turbamento, e si affrettò a dire come per togliermi d'imbarazzo:
      - Anch'io amo molto i fiori, e se fossi sana vorrei coltivarne; ma se ne trovano parecchi che sono ingrati, e mi procurano delle terribili emicranie coi loro profumi. Anche la società dei fiori è qualche volta pericolosa.
      E vedendo che m'era alzato, e aveva preso il mio cappello per uscire, aggiunse avvicinandosi alla finestra che era aperta:
      - Guardate, abbiamo lí, nel palazzo di fronte, una serra magnifica, delle petunie, una collezione di cardenie...
      Cosí dicendo ci eravamo appoggiati al parapetto. In quel momento passava sulla via, e proprio in faccia a noi, un convoglio funerario.
      Ella lo vide, impallidí, retrocesse, si cacciò le mani nei capelli, emise un urlo terribile, e cadde rovesciata sul pavimento.
      Le sue cameriere accorsero, e la trasportarono nelle sue stanze in preda alle convulsioni piú violente.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





Milano