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      All'indomani di quella passeggiata, ciascun commensale aveva trovato un fiore sul suo coperto; inutile dire che il mio era il piú bello. Tutte le cure, tutte le preferenze possibili erano per me. Ella sapeva porre tant'arte in dissimulare questa predilezione, che nessuno se n'era avveduto, ma era tal cosa che a me non poteva sfuggire. Ne era commosso, ma me ne doleva amaramente.
      Da principio mi era sembrato tollerasse quella mia apatia con animo indifferente, in seguito mi avvidi che incominciava ad immalinconire, e ne soffriva.
      Una sera in cui eravamo seduti dappresso - fosse caso, fosse disegno - accostò tanto il suo braccio al mio da toccarlo e da premerlo; io mi ritrassi un poco: bastò quest'atto a cagionarle una crisi nervosa delle piú violente.
      Che poteva io fare? Sentiva pietà di lei, vedeva il suo cuore e ne soffriva; ma l'egoismo del mio amore, la mia felicità, la natura stessa facevano tacere in me quel sentimento. Io ero divenuto piú fermo che mai nel disegno di respingere quell'affezione.
      Una sera il colonnello mi aveva detto:
      - Domani usciremo in carrozza assieme, vi farò vedere una pariglia che non avete ancora veduto, andremo al castello.
      - Volontieri.
      All'indomani rimasi penosamente sorpreso nel veder Fosca apparecchiata ad accompagnarci. Eravamo soltanto noi tre, e aspettavamo che ci si annunciasse che la vettura era pronta. Indugiando i domestici in ciò, il colonnello salí sulle furie, e discese egli stesso nel cortile. Rimanemmo soli, in piedi, l'uno di fronte all'altra.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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