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      Essi comprendevano senza dubbio che vi era in me qualche cosa di straordinario, l'aspettazione di una grande felicità. Mi sentiva voglia di voltarmi, e di dir loro: «Signori non sapete che io sono molto felice?» Ma ho avuto pietà della loro vecchiezza!
      Eccomi di nuovo in questo piccolo santuario. Esso è ancora tutto ripieno di lei, vi è ancora tutto il suo profumo. Se mi avessero condotto qui ad occhi chiusi, avrei gridato subito: "Clara, Clara!" perché avrei sentito la sua presenza.
      Ho trovato un suo capello, e ho baciato e ribaciato il guanciale che riteneva ancora l'impronta della sua testa. Quanti ragnateli! Ho visto un millepiedi sulla parete. Il micio del vicino ha veduto l'uscio aperto ed è entrato ad accarezzarmi le gambe colla coda, l'ho riveduto come un vecchio amico. Quell'ellera che veste la parete esternamente si è abbarbicata alla persiana, e ha cacciato dentro, per le gretole, alcuni rami coperti di fogliuzze quasi bianche, perché non avevano luce. È una pianta sempre viva, e ne ho tratto un presagio lusinghiero.
      Sono le quattro dopo mezzanotte: passeggio, piango e sorrido. Ripeto spesso, protendendo le braccia: "Oh Clara, vieni, vieni!"
      Non posso coricarmi: ancora otto ore, - a domani: ancora otto ore!
      Ho aperto le finestre; il cielo è chiaro e sereno. Che scintillio di stelle! che silenzio! Oh mio Dio, come siete grande!»
      Tale è un brano delle memorie che io scrissi in quella mia prima gita a Milano, e che ricopio ora dal mio giornale.
     
      XXI
     
      Aggiungo qui la lettera che diressi in quella notte a Fosca:


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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