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      Una sera, in uno di questi momenti di abbandono, mi confessò d'aver fatto una grave perdita al giuoco, non osare chiedere altro denaro a mio padre, trovarsi, non pagando, poco meno che disonorato. Io fui felice di potergli dare tutti i miei gioielli, i miei abiti piú ricchi, tutto ciò che possedevo di prezioso, onde sottrarlo alle conseguenze di quella perdita. Me ne pagò con una settimana di amore, di assiduità, di tenerezze, e ritornò poi subito alle abitudini di prima.
      Ma sarebbe racconto assai lungo il voler dire tutte le torture mie e tutta la ingratitudine di lui, tutte le astuzie con cui giunse a poco a poco a spogliarmi interamente della mia fortuna.
      Un giorno - mi s'era mostrato già da tempo agitatissimo - entrò improvvisamente nella mia camera col volto estremamente turbato; mi disse di non aver mai avuto il coraggio di confidarmelo, ora essere necessario, benché troppo tardi; aver egli contratto da celibe alcuni debiti ascendenti a somme enormi, piú di metà la fortuna della mia casa, aver sperato poterli pagare coi capitali che il sequestro impreveduto rendeva ora inalienabili, e aver perciò firmato cambiali la cui scadenza imminente gli apriva le porte del carcere: preferire uccidersi. E levata una pistola, fece atto di esplodersela al viso.
      Tu avrai già indovinato ciò che io ho fatto. Mio padre e mia madre vennero essi a trovarmi piangendo. Mi chiesero se egli mi amava, io dissi di sí; se ero felice, io dissi ancora di sí: essi acconsentirono a spogliarsi quasi interamente della loro fortuna, perché io fossi felice e tranquilla con lui.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213