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      Perché nessun'altra avrebbe potuto amare piú intensamente. Lo stesso affetto di Clara non era né sí assoluto, né sí profondo; non aveva né la forza, né l'abbandono, né la continuità, né la voluttuosa mollezza del suo. La natura di Fosca era stata in ciò privilegiata. Se il cielo le aveva negato la bellezza, lo aveva forse fatto per temperare, col difetto di questa, l'esuberanza pericolosa di quella.
      Oltre a ciò, ella pensava, agiva, amava come una persona inferma. Tutto era eccezionale nella sua condotta, tutto era contraddittorio; la sua sensibilità era sí eccessiva, che le sue azioni, i suoi affetti, i suoi piaceri, i suoi timori, tutto era subordinato alle circostanze le piú inconcludenti della sua vita d'ogni giorno. In una sola cosa era costante, nell'amare e nel contraddirsi, quantunque nelle sue stesse contraddizioni vi fosse qualche cosa di ordinato e di coerente, e nel suo amore un non so che di oscuro e di mutabile che non ne lasciava comprendere la natura e lo scopo. Era ben certo che in fondo a tutto ciò vi era un carattere, ma si poteva meglio indovinarlo che dirlo.
      Passavamo quasi tutta la giornata assieme. Al mattino la vedeva da sola come prima; alla sera suo cugino si tratteneva qualche ora con noi; poi finiva coll'uscire e col lasciarci soli da capo. Spesso Fosca teneva il letto, e io vegliava al suo capezzale gran parte della notte. Era impossibile ribellarsi a quelle esigenze, impossibile allontanarsi da lei un istante piú presto di ciò che era inesorabilmente necessario, o lasciarle apparire soltanto l'affanno in cui mi poneva quel sacrificio.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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