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      L'ultima volta che Clara mi aveva visto ne era rimasta atterrita, e mi aveva detto: - Povero Giorgio, mi pare di vederti ancora quale ti vidi la prima volta che venisti a battere all'uscio della mia casa; sei molto triste, molto dimagrato, che hai? - E non so se fosse per pietà che le inspirasse di nuovo il mio stato, o per affanni suoi intimi, ella era assai pensierosa e assai mesta.
      Dacché Fosca era guarita, m'era recato a vederla due altre volte, e l'aveva sempre trovata cosí; non mi pareva piú quella. Non che mi amasse di meno, ma non era piú lieta come prima, non mi sembrava piú felice. E perché si affannava adesso ad accertarmi del suo amore, a giurarmi che mi amava, a chiedermi se il suo affetto era tutta la mia vita e la mia felicità?
      Ohimè! Io dubitavo. Io conosceva assai bene il cuore degli uomini. Quando l'amore se ne va, allora si sente il bisogno di affermarlo. Noi siamo piú costanti della natura, piú fedeli, piú coscienziosi; noi vorremmo trattenere questo amore che la natura ci invola, ma è indarno. Come, come amare ancora quando l'amore se n'è andato, quando il nostro cuore è rimasto deserto, e l'oggetto delle nostre affezioni non ha piú un'attrattiva per noi? Noi possiamo piangere su questa fralezza dell'amore, ma non possiamo arrestarlo: egli abbandona i cuori che vi hanno troppo creduto.
      Io non sospettava che Clara avesse cessato di amarmi, no; questo sospetto mi avrebbe ucciso (almeno allora lo credeva), ma mi sentiva nell'anima mia qualche cosa di simile al presagio di una sventura lontana; mi pareva che avrei dovuto perderla, e l'amava di piú. Cosa portentosa, incomprensibile a me stesso; l'amava piú ancora di prima, oltre quella misura che aveva giudicata estrema, piú di quanto aveva creduto compatibile colla nostra natura mortale.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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