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      Vedendo che io non le dicevo nulla tornò a chiedermi:
      - Ti annoio forse? ti faccio soffrire? vuoi che io vada via? Rispondimi.
      Io continuai a tacere. Era tutto il giorno che ella mi opprimeva cosí, il dispetto mi aveva reso muto e crudele.
      - Rispondi - ripeté ella con accento supplichevole.
      - Oh, lasciami, - esclamai io con impazienza - lasciami!
      Ella si alzò, e incominciò a risalire lentamente la riva. Non si era allontanata che di pochi passi, allorché intesi un suo urlo acutissimo; mi rivolsi, e vidi che era caduta a terra in preda ad una di quelle sue convulsioni terribili.
      Compresi troppo tardi il male che aveva fatto. Quell'accesso era uno de' piú violenti. Di là alla fattoria vi erano dieci minuti di cammino, fra poco avrebbe annottato, io e lei eravamo soli in quella forra.
      La distesi sull'erba. Corsi a prendere acqua nella palma della mano, le spruzzai il volto, ma indarno. Le sue grida e le sue convulsioni erano calmate a poco a poco, ma ella era ancora svenuta. Me le sedetti vicino, aspettando in un'ansietà mortale che rinvenisse. Scorse una mezz'ora, era quasi buio. La mucca che avevamo veduto prima ripassò sulla sommità del burrone agitando il suo sonaglio, e si fermò un istante a guardarci. Anch'io ebbi quasi paura di quello sguardo. Quella donna distesa sull'erba come morta, coll'abito lacero, col volto livido e insanguinato, a quell'ora, in quell'oscurità tetra che non era né luce né tenebre, in quella forra profonda, sotto quei grandi alberi, soli... v'era in quel quadro qualche cosa di sí tetro, che raccapriccio ancora oggi a ricordarlo.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213