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      Quando m'avvidi che era inutile l'indugiare, sollevai Fosca sulle mie braccia, e mi diressi verso la fattoria. Ella era sí magra, sí consunta che io indovinava quasi il suo scheletro sotto le pieghe del suo abito di seta, e ne rabbrividiva. Quanta differenza da quei giorni, nei quali aveva per vezzo portato Clara in quel modo attorno alla nostra piccola stanza, e aveva sentito fremere sulla mia persona le sue forme piene, pieghevoli, dense!
      Il colonnello era stato assai inquieto per la nostra assenza; lo fu ancor piú nel vederci tornare in quel modo.
      Gli raccontai che, avendo udito le grida di Fosca, era corso verso il torrente e l'aveva trovata a terra svenuta; forse nel cadere s'era offesa il volto e le mani cogli spini.
      Fu posta in carrozza, cosí priva di sensi com'era. Durante il viaggio non abbandonò mai la mia mano che stringeva tra le sue convulsivamente.
      Suo cugino mi disse:
      - Mi dispiace che ella vi fa stare in una posizione molto incomoda; poveretta, non capisce piú nulla, vi ha scambiato per me.
      - Certo, - io risposi - ella crede di stringere la vostra mano.
      XXXVII
     
      Giunto a casa, incominciai a provare quella specie di leggerezza e di benessere che precede la febbre.
      Mi buttai nel letto, smanioso di addormentarmi, di non svegliarmi mai piú, giacché non potevo piú reggere agli assalti di tutti quei pensieri che venivano a torturare il mio cervello.
      Non tardai ad assopirmi, ma passai una notte terribile; ebbi l'incubo; un fantasma spaventevole s'era buttato sopra di me e mi stringeva, mi soffocava col suo peso; sentivo un affanno, un caldo, una sete, un'oppressura da non dirsi; al mattino mi svegliai come istupidito, mi sembrava di non esser desto; sentiva una gonfiezza penosa nel cuore, e mi pareva che egli si fosse ingrossato, e che urtasse con violenza nelle pareti del petto.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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