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      Oh, io sono una insensata, una miserabile!
      E stringeva colle mani e mordeva la coperta del letto piangendo.
      - Calmati, Fosca, - io le dissi - tu lo sai, questa commozione potrebbe esserti fatale; se i tuoi accessi... se ciò succedesse qui... pensa...
      - Oh no, no, è impossibile, io soffro troppo in questo momento; e poi io non mi appartengo piú, tutta la mia vita è in te, io non so piú di esistere. Ma guarirai, guarirai presto, non è vero? oh guarisci, guarisci!
      Si alzò, buttò in un angolo il suo scialle, e prese a camminare per la stanza con passi rapidi. Afferrò l'estremità di un tappeto che copriva il tavolo, e lo gettò a terra assieme ad alcuni ninnoli che vi erano sopra. Guardò il cielo dalla finestra, si avvicinò ad una parete, vi appoggiò il capo, e rimase in quell'atteggiamento alcuni minuti. Io la guardava istupidito.
      - Non voglio che soffra tu solo, - riprese riscuotendosi ad un tratto - no, no, non voglio.
      Guardò intorno alla stanza, vide splendere sopra uno scrittoio la lama d'acciaio d'un tagliacarte, la prese e mi si avvicinò gridando:
      - Feriscimi, feriscimi: dove è che soffri? nel petto, nel cuore? ebbene feriscimi qui, nel cuore, voglio anch'io la mia parte di dolori, sí, voglio soffrire anch'io.
      Le afferrai la mano, e le tolsi la lama che gettai a terra.
      - Per carità, - esclamai io - Fosca, non ti abbandonare a questi trasporti. Io non sto male, non ho nulla, siediti vicino a me, su questa sedia; se veramente mi ami, se ti è cara la mia vita, la mia felicità, non mi affliggere e non mi atterrire in questo modo.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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