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      - Tu non puoi non credere, - io le dissi - la tua bontà è una fede, la tua virtú è una religione, i tuoi dolori sono una preghiera. Quanti onesti credono di essere atei perché sono infelici! La loro infelicità sembra volerli allontanare dal cielo, e non sanno di essere i piú credenti degli uomini! Può la bontà non essere credente?
      - Ciò è vero - diss'ella. - Oh se potessi credere ancora! Ma per te crederò, sai, pregherò ancora per te. Sarò esaudita lo stesso. Stasera dirò le mie vecchie orazioni, le dirò sempre, tutti i giorni; domani andrò in una chiesa per pregarvi e per piangervi.
      Mi fece passare una mano sotto il capo, volse il mio viso verso il suo; mi guardò, e mi sorrise cogli occhi bagnati di lacrime.
      - Come sei bello cosí malato, - mi disse - se tu non soffrissi vorrei vederti sempre cosí. Farei patto di passare tutta la mia vita in questo modo, vicino al tuo letto a guardarti.
      Mi arruffò i capelli con le mani, li fece cadere a ciocche da un lato e dall'altro del guanciale, si alzò, prese uno specchietto e mi disse:
      - Guardati.
      Io mi guardai e sorrisi. Baciò lo specchio, lo ripose, e tornò a sedersi.
      - Ora - diss'ella - me ne andrò; mio cugino era uscito, e non sarà tornato ancora; se lo sapesse!... Ebbene, se lo sapesse!
      - Ma che monta? - riprese crollando il capo e riabbracciandomi - io ti adoro, Giorgio, io ti adoro. Che m'importerebbe il perdere la mia pace, la mia fama, il rendermi anche ridicola, quando ciò fosse per te? Ove è il tuo male? Nella testa, nel cuore?
      - Nell'uno e nell'altro, piú nel cuore.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





Giorgio