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      Dimmi che ritornerai.
      Si trascinò verso di me, e nascose il capo tra le mie ginocchia.
      - Sí, - io le dissi - sí, torneremo assieme, ma domani dovrò pur ripartire, non posso fare a meno di recarmi per due giorni a Milano.
      - Ah! - esclamò ella. - Ebbene, ebbene non importa. Non vorrò essere felice io sola. Avrò la forza di resistere. Ma non ti fermerai di piú, ritornerai? Promettimelo.
      - Sí, - io dissi - te lo prometto.
      - Giuralo.
      - Lo giuro. Ma potrò poi rivederti in casa tua? Tuo cugino...
      - Spero che non avrà veduto la mia lettera, che saprà nulla. Io l'ho lasciata sul mio tavolino da lavoro. Dacché non tengo piú il letto, egli non viene piú nella mia camera. Sai che non esce dall'ufficio che pel pranzo. Prima di quell'ora saremo già arrivati. La mia cameriera ne sa qualche cosa, è prevenuta, non dirà nulla. Checché avvenisse, vedrò oggi il medico, e lo pregherò di venirtene ad informare.
      Ometto il resto di quel triste dialogo. Feci cercare una carrozza, e ricondussi Fosca alla stazione. Il freddo, la fatica, il dolore avevano talmente esaurito le sue forze, che dovetti quasi sollevarla sulle mie braccia per salire con essa le due predelline della vettura del convoglio. Quivi si sedette dirimpetto a me; volle tenere tutte e due le mie mani tra le sue, avvicinare il suo viso al mio, baciarmi di quando in quando come fossimo stati soli. Piú ella era sofferente, piú era affettuosa; lo spavento, l'agitazione, le lotte di quella mattina l'avevano sfinita; non aveva quasi piú coscienza della nostra situazione, e si abbandonava a me senza ritegno.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





Milano Fosca