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      Io ho perduto anche il conforto disperato che mi veniva da quel dubbio; io sento la mia coscienza fremere e ripiegarsi sotto il peso di questo convincimento terribile.
      XLVIII
     
      Suonava la mezzanotte quando io entrai nella camera di Fosca.
      Ella era inginocchiata a piedi del letto, colla testa appoggiata ad una seggiola, in attitudine di preghiera. Non mi udí e non si volse; io mi tenni ritto sulla soglia, immobile, combattuto da mille dubbi, da mille paure, col cuore soffocato dall'angoscia. Girai l'occhio intorno a me, e contemplai con un senso di raccapriccio tutti quegli oggetti che mi ricordavano tanta parte del mio cuore. Colà io aveva vegliato un'intera notte al suo fianco, su quella sedia aveva evocato le dolci memorie di Clara, al fioco barlume di quella lampada aveva accarezzato le lusinghiere promesse d'un avvenire ampio e sereno. Ed ora!...
      Mossi un passo verso Fosca. Ella rivolse il capo con un moto sí risoluto che i capelli, appena trattenuti da una reticella, si sprigionarono e caddero sulle spalle e sul collo. Mi vide, diè un grido, balzò in piedi, e mi corse incontro con le braccia protese, e mi avvinghiò al suo seno palpitante. Il mio cuore fremeva come all'aspetto d'una immensa sciagura.
      Quell'amplesso fu lungo e penoso. L'emozione ci aveva reso mutoli entrambi.
      La pallida luce che illuminava la stanza, il crepito lieve del lucignolo, il battito affrettato dei nostri petti, e la calma che vegliava al di fuori, davano a quel momento una solennità che cresceva il mio affanno.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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