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      L'esecuzione era gią incominciata, alla spiccia e senza molti preliminari, talchč una dozzina di quegl'infelici erano belli e spacciati. La moltitudine stava commossa e timorosa, e in tanto subbuglio di gente era un silenzio tale che udivansi chiaro le preghiere e le ultime parole dei condannati. Tra questi erano giovani e vecchi e sacerdoti e cittadini d'ogni classe, alcuni venerandi per canizie, altri stimati per probitą e per valore; desiderio grandissimo della patria in quell'epoca di desolazione. La maggior parte non reggevasi sulle gambe e minacciava ad ogni istante di uscir di vita; e questi erano spacciati per i primi. Gli altri pił giovani, pił baldi e pieni ancora di vigorģa, sebbene doloranti per la perdita degli occhi, favellavano, volgevansi al popolo gridando, invocavano il Signore, e morivano pregando tempi migliori allo sfortunato loro paese. Invano gli sgherri or colla voce, or con punzoni o minacce tentavano di contenerli, di farli tacere: le bravate non valevano a nulla per essi, che avevano a due passi la morte, ond'č che stimarono pił acconcio lasciarli dire. Tra gli altri erano due giovani, belli della persona e del volto, per quanto l'un e l'altro avessero sfigurato e malconcio: stavano sul davanti del palco, e tenevansi abbracciati in un amplesso cosģ tenace, che pareva non se ne potessero pił sciogliere. Dal muoversi convulso delle labbra e dallo stringersi cosģ da vicino scorgevasi un immenso struggimento di non potersi mirare in viso, e un amore, una tenerezza, un abbandono non facile a trovarsi tra uomo e uomo.


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La cą dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168