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      Tanto più che gli alabardieri di Bernabò circondavano a doppie file la piazza, e non sarebbero stati gran fatto malcontenti di picchiar coll'asta nelle reni a quella sozza canaglia, com'essi chiamavano il popolo, e di mandarne porzione a far compagnia ai ranocchi nella fossa che gira quasi tutto all'intorno.
      Stefano e Franciscolo non poterono più oltre patire la vista di quello spettacolo, e si volsero per uscire di là fieramente combattuti da mille diversi sentimenti. Quando furono davanti alla porticina della chiesa di S. Lorenzo, dove la moltitudine diradavasi e lasciava luogo a camminare alquanto più liberamente, Stefano, tratto un grosso sospiro, disse piano al compagno:
      - Poveretti, come fanno compassione. E a vedere quei ribaldacci di stipendiati del duca come gavazzano e si tengono a festa. Maladetti! S'io rimaneva più là, avrei commesso qualche sproposito: mi pareva d'aver i piedi sulle brage, e qui nelle mani poi mi sentiva certi pizzicori... Che la Madonna e san Lorenzo mi ajutino. -
      - Amen, rispose una voce grave a poca lontananza da lui.
      Il povero Stefano, che tenevasi solo, e credeva che nessuno l'avesse udito, si volse pieno di sospetto, e vide due frati minori che si erano ritratti dalla folla e stavano rincantucciati presso alla porta della chiesa col viso quasi interamente coperto dalla cocolla. Sopra di costoro ei cacciò due occhi a guisa di due punti d'interrogazione; ma poichè il frugare e l'osservarli minutamente non servì a nulla, si trasse Franciscolo in disparte e accennò di andarsene.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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