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      La sua Cecilia, che ad onta de' suoi ventinove anni e di una cotal pienezza di forme quasi matronale era detta dal popolo la bella Cilia, era sette anni addietro il più fresco bottoncino di rosa che fosse sbucciato all'ombra della contrada dei Mercanti d'Oro. Quand'ella stavasi nella sua bottega da pellicciajo, e ciò accadeva sovente a cagione dei viaggi che il fratello era costretto fare, i garzoni dei dintorni vi si trattenevano dinanzi e gettavano occhiate malinconiche e sospiravano a guisa di mantici, e studiavano ogni modo di darle nell'occhio. Ma ella stava salda al suo banco e mostrava di non badare a quelle dimostrazioni, anzi in cuor suo le dispregiava, perchè aveva spesso udito dire dalla madre sua che la gioventù è fatta come le mosche, le quali accorrono dappertutto dove trovano il dolce, ma presto anche volano via. La qual morale della buona femmina, chi vuole, può trovar modo d'applicarla anche a questi dì, in cui tanto mutarono le cose, specialmente in fatto di amore. Tra gli altri amatori era pure il nostro armajuolo, il quale non passava mai davanti alla bottega di Cecilia senza trarre un sospiro ed esclamare - Per dio! darei la più bella manopola d'acciajo della mia fabbrica, e con essa la mia mano sinistra per ottenere un'occhiata benigna da questa furfantella di Cecilia. - Ma l'affare non era sì lieve. Non già che la fanciulla vedesse di mal occhio l'armajuolo, che anzi lo sceverava da tutta quella turba di vagheggini, essa era troppo austeramente educata, e, dobbiam dirlo, impeciata anche un pocolino di quel difettuzzo che tutte le donne ereditarono dall'antica loro genitrice, quel pò di orgoglio che in molte tien luogo di modestia; del resto però eccellente figliuola, buona, amorosa, e, quel che è più, ottima massaja.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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