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      - Che cosa ho da sapere, dì? che cosa? Che tu sei il più sfrontato briccone che abbia percosso l'incudine in contrada degli Spadari? Questo vuoi dir tu?
      - Eh! mio Dio! ciò può essere: ma intanto, s'io lasciai la bottega vota, fu per soccorrere....
      - Soccorrer chi? sclamò Stefano.
      - Cioè, soccorrere veramente no, ma così tener d'occhio, che so io? ajutare in caso di bisogno....
      - Spicciati, tristaccio; ajutar chi?
      - Vostra moglie?
      - Cecilia! E che cosa ha Cecilia? le prese forse qualche male, non sarebbero ancora finiti i guai?
      Ciò detto, lasciò andare Martino e corso alla scaletta salì i gradini a quattro a quattro coll'ansietà di chi teme un pericolo e non sa quale. La Cecilia era seduta presso al letto, colla testa appoggiata ai cuscini e con una mano asciugavasi gli occhi rossi dalle lagrime. Poco lungi da lei stava Tonio, l'altro garzone, cavando fuori tutti gli argomenti che suggerivagli la sua rettorica per consolarla, nel qual uffizio faceva così patetiche smorfie col viso che avrebbe mosso a ridere qualunque altri che Cecilia. L'armajuolo, che erasi trattenuto alquanto sull'ingresso per mirare la scena, ora avvicinossi alla sua Cecilia e accarezzandole dolcemente una guancia, le chiese del suo male.
      - Oh! nulla, nulla, rispose essa sollevando il capo, e sforzandosi di sorridere per mezzo alle lagrime; fu un capogiro. Adesso però m'è passato, e sto meglio: sì, sì, sto meglio...
      - E vero, messer Stefano, disse Tonio, fu un capogiro, proprio di quelli che prendono quando uno sale in alto a guardar giù: e sì che la padrona, poveretta non faceva altro che guardar in su, e rivolger gli occhi al cielo.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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