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      Ah, la misura è colma; perchè io so tutto, vedi, Cecilia, io so tutto, quantunque tu mi abbia sempre fatto un segreto di ciò. Nè ti biasimo per questo. Ma infine una buona giustizia la c'è per tutti, e quando uno non può averla, se la fa da per sè.
      - Oimè, marito mio, lo sapeva io che avresti dato in minacce, invece di pregar Dio che ci porga ajuto.
      - Tengasi chi può, quando sono lecite di tali ribalderie. Le preghiere sono certo un ottima cosa, ma io per me so che un buon braccio paga meglio le offese, e non ne tien debito con nessuno. Ma infine, che cosa t'ha detto, Tonio, parla una volta.
      - Che so io? Egli è venuto in bottega con certi blandimenti di alabarde che voleva vedere, perchè al Duca ne facevano d'uopo, poi uscì a parlare del cane che avete in casa, e lo lodò assai, e disse che stava tanto a cuore a Bernabò, e che avrebbe voluto vederlo prima del dì della rassegna.
      - E tu gliel'hai condotto abbasso?
      - No, voleva ben farlo, ma egli mi trattenne, dicendo che non meritava la pena, e che sarebbe salito egli, anche per vedere in che modo era fatto giacere, e dare qualche consiglio su di ciò, perch'egli diceva, è molto amico vostro, e gli preme il vostro buon nome.
      - Ah, il mio buon nome gli preme! borbottò fra i denti l'armajuolo.
      - Certo, e con questi modi è salito.
      - E poi?
      - E poi, prese a dire Cecilia, mi venne innanzi con molta mia maraviglia, e mi chiese del cane, e dimostrò molto desiderio di vederlo, perchè guai, diceva, se egli dimagrasse o impinguasse, che non c'è pericolo, e peggio se venisse a morire.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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