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      Infine cominciò un lungo discorso che andava a finire colle solite proteste, al che io risposi asciuttamente e con dignità; ma veduto che non ristava, chiamai Tonio e Martino, che accorsero entrambi, ed egli tenendosi per ischernito partì sdegnoso e borbottando.
      - Ah! cane, te lo darò io lo sdegno.
      - Deh! marito mio, non tiriamoci addosso peggiori malanni. Pensa al nostro Marco, a quell'angioletto, che sta là dormendo nell'altra camera, e che non deve patire per nostra colpa. Quanto allo Scannapecore, lascialo in pace, chè questa volta si sarà levato il ruzzo del capo, e non ci darà più fastidio, già un dì o l'altro si sarebbe venuto a ciò, e in ogni caso meglio oggi che domani. Via, Stefano, sii buono, siedi qui, vicino a me, vicino alla tua Cecilia che ti vuol tanto bene.
      E intanto che così parlava, la Cecilia gli veniva stringendosi alla persona, e lo guardava amorosamente e l'accarezzava e gli posava la testa sulle spalle con tutte quelle arti che le femmine possedono in sommo grado e che sono la delizia e la disperazione della più forte metà del genere umano. E l'armajuolo, il quale ad onta della sua grand'ira, era nel fondo una buona pasta d'uomo, tenero assai della moglie, non potè star saldo a quelle preghiere e a quelle carezze, e cacciato fuori un gran sospiro che pareva gli volesse scoppiare il petto, gettossi a sedere senza dire una parola.
      - Marco, Marco, chiamò allora la moglie che lo vide alquanto commosso. Marco, vieni, che il papà ti vuole.
      Allora un fanciullo di cinque anni, paffuto e ricciutello come un amorino entrò nella camera lento lento e cogli occhi semichiusi, e andò a posarsi vicino all'armajuolo.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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