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      - Che cosa vuoi, papà?
      L'armajuolo guardò un istante il fanciullo, poi la madre, poi ancora il fanciullo, e fregando la fronte col rovescio della mano come per cacciarne un pensiero molesto, borbottò tra sè. - Che serve? non si può essere uomini a questo mondo. Che cosa vale avere un cuore che senta le ingiurie, e due buone braccia per vendicarle, se il primo è fatto tacere con quattro lagrimuccie, le altre vi sono legate da coloro stessi che le dovrebbero lasciar libere? Uf! povero Stefano.
      - Che cosa ha il papà, chiese il fanciullino, è forse in collera con me, perchè ho dormito troppo?
      - Eh: no, rispose la madre, è stato un po' di mal umore, ma adesso non ce n'è più l'ombra. Via, fagli un bacio, e poi va a giuocare.
      E questo del bacio era l'ultimo tentativo per rabbonire l'armajuolo, perchè a quei tempi barbari e rozzi non conoscevansi certe raffinatezze di sentimento, che hanno gran voga oggidì, e andavasi molto più alla spiccia. Due carezze, un bacio, tutt'al più una lagrima, perchè le donne hanno sempre pianto dacchè uscirono dal fianco dell'uomo, facevano le spese di ogni tenerezza; i brividi, le convulsioni, i deliquii erano delicature ignote a quella buona gente che sopra ogni altra cosa faceva professione di sincerità. Allora era del cuore come della storia, la quale raccontavasi tutta d'un fiato; così alla carlona, senza sospensioni, senza episodii, senza capitoli, senza epigrafi, insomma senza tutte quelle inutili sdolcinature che crearono adesso il racconto storico. Nè questo sia detto per lodare i tempi andati a fronte dei nostri, che Dio ce ne guardi; tanto più che noi pure ci siam fatti seguaci del moderno costume e abbiamo trasformato una eccellente cronaca in un magro e stiracchiato racconto.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





Stefano Dio