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      Così tornata un po' di quiete nella casa dell'armajuolo, i pensieri presero naturalmente un'altra via, e il fanciullo fu il primo a darvi la spinta. Staccatosi dal collo dell'armajuolo dopo quell'ultimo bacio, egli era corso in traccia del cane, col quale soleva giuocare buona parte del giorno, e vedutolo steso per terra tutto sbalordito dalla percossa, cominciò ad alzare un lamento straordinario. Tonio erasi avvicinato esso pure, e sollevato il corpo del cane, e visitatolo in ogni parte, scuoteva il capo e stringeva le labbra in atto di chi sta per pronosticare un malanno. Persino la Cecilia erasi tolta al fianco del marito e innoltravasi tra paurosa e dolente per sapere del funesto caso. Il solo armajuolo pareva non badare a nulla e stava tutto assorto nelle sue meditazioni, tentando ogni mezzo di divorarsi la rabbia che gli fremeva nell'animo.
      - Madonna Cecilia, disse Tonio sommessamente in guisa che l'armajuolo non udisse, ho paura che questo maledetto cane voglia darci più faccende che quel tristo di Scannapecore. Con colui non sono che parole; ma qui sì tratta della vita, e voi sapete che il Duca non ischerza. Vedete come ha gli occhi socchiusi, e come tira a stento il fiato! Non vorrei aver pigliato io quel calcio che toccò a quella brutta bestiaccia. Già il padrone non l'ha mai potuto vedere di buon occhio, e forse ha ragione; ma mio Dio! bisogna adattarsi ai tempi.
      - Ed ora che si fa? chiese la Cecilia tremando.
      - Che si fa? bisogna tosto dargli qualche rimedio per tornarlo in vigore, Se no, poveri noi.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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