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      Hai ragione, Cecilia: or va, e porta tutto quello che fa duopo per mantenere in vita questo sozzo animale; purchè egli rinvigorisca, crepi tutta una famiglia, che poco importa.
     
     
     
      III.
     
      L'eva la Lilla ona cagna maltesatutta pêl, tutta goss e tutta lard,
      E in cà Travasa, dopo la Marchesa,
      L'eva la bestia de magior riguard,
      De mœud che guaja al ciel falla sguagnì,
      Guaja sbeffalla, guai a dagh del ti.
      PORTA, La Nomina del Capellan.
     
      Il mattino appresso le cose erano tuttavia nel medesimo stato, vale a dire il cane non istava punto meglio di prima, perchè degli altri non vale tener discorso per ora. Le cure usategli dalla famiglia dell'armajuolo, i beveroni cacciatigli giù per la gola, gli empiastri messi sulla percossa, i cibi postigli innanzi avevano solo per poco rianimati gli spiriti del cane, sicchè tutti stavano in grande timore. Lo stesso Stefano, che il dì prima lo voleva veder morto, ora che la notte l'aveva fatto tornare a più miti pensieri, avrebbe dato non so che per riparare al mal fatto, e si affannava e si dava una briga da non dire per quella bestiaccia. Passato l'impeto dell'ira, la paura naturale in quei tempi ad ogni animo più forte, eragli tornata in corpo più gagliarda di prima, e la sua fantasia non presentavagli che capestri, roghi, tanaglie, mastini e tutte le dolcezze della giustizia sbrigativa di quei tempi. La notte poco si aveva dormito, e la Cecilia era in piedi avanti l'alba, tormentata da un cruccioso desiderio che non le lasciava chiuder occhio. Nel fervore del suo affanno e della sua devozione, ella aveva staccato dalla parete del capezzale un cero benedetto, che contava non so quanti anni di polverosa memoria, e accesolo davanti la sua prediletta imagine, vi si era inginocchiata d'appresso e pregava sommessamente.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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