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      È forse sbucato qualche topo dal pagliariccio, come avvenne alcune notti fa; davvero non sarei mica malcontento di fargli la festa. Non sarà già il primo che sia entrato nello stomaco d'un milanese.
      - Taci, in tua malora. Or trattasi del cane, che mi pare allo stremo.
      - Ah! mio Dio, or sì, che me ne sovviene. Guardate, quando si dice, ed io aveva creduto che tutto ciò mi fosse avvenuto in sogno. Ah! povero Tonio, la tua pelle sa già di cadavere.
      - Vuoi finirla, scimunito. Vieni qui, dammi un po' un consiglio, chiama anche Martino, che voglio udire anche lui. Infine si tratta della vita di tutti. Maladetto cane!
      - Martino è già presso a vestirsi. Ma siamo proprio a questo punto? Non c'è più rimedio?
      - Guarda, come è lì senza moto, e come fiata a stento.
      - Ah! Vergine santissima, ajutateci, sclamò Cecilia, alzando gli occhi al cielo e sospirando.
      - Eccomi qui, disse Martino, entrando in quel punto.
      - Ho piacere che siate qui entrambi, disse l'armajuolo; tutti siamo mossi dalla medesima paura, e la vita di questo cane è preziosa per tutti. I rimedii che gli abbiam dato jeri non valsero a nulla; anzi par che lo abbiano ridotto a peggior stato. Che dobbiam fare pertanto? Mettere la nostra sorte nelle mani del Signore, o confidarci nelle nostre gambe? Perchè la mostra è poco lontana, e se il cane non è vivo e sano, il Duca non ci userà cortesia al certo. Voi sapete quel che è toccato al povero Giorgio, l'orefice, non sono molti dì, e poi lo spettacolo d'jeri vi deve essere presente tuttora alla memoria.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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