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      - Poverino! sei ben dolce di sale. Va a credere a tutte le fole che ti raccontano. Le streghe ci sono pur troppo, ma la vecchia Marta è tanto strega, come lo siamo io e tu. Il contagio che ha recato tanti guai, ha fatto almen questo di bene, che ci ha liberati quasi intieramente da quella razza d'inferno. Addio, addio.
      - Ma, prese a dire Cecilia, la quale pareva inclinata a prestar fede ai sospetti di Tonio, questo ricorrere alla vecchia Marta non è quasi un offendere il Signore, il quale è il solo padrone della vita e della morte?
      - Eh! rispose l'armajuolo, il Signore non vede mica malvolentieri che gli uomini si ajutino di per sè. Quand'essi non valgono a cavarsi d'impaccio, allora è tempo di rivolgersi a lui e di chiedergli un miracolo: se ciò non fosse, a che ci avrebbe dato due braccia due occhi e soprattutto due dita di cervello, chi n'ha? Però va, Martino, e spicciati.
      Il garzone non se lo fece dire un'altra volta, ma pigliò l'uscio e giù per la contrada di s. Satiro fino al Carobbio. L'armajuolo intanto un po' per la speranza natagli addosso, un po' per quel coraggio naturale che possedeva in grado eminente, era tornato calmo e quasi allegro, e volgendosi a Tonio, diceva:
      - Va giù in bottega, Tonio, ed apri le imposte, perchè il sole è già alto. Sebbene in questi tempi non ci sia nulla a fare, non bisogna lasciar credere ai maligni che siamo poltroni o caduti di tanto da non poter più aprir bottega. Va e da di mano a quel morione che l'anno passato ci diè a raccomodare quello scudiere che non tornò più indietro.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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