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      - Presto, messer Stefano, pigliamo su il cane tal quale è, e portiamolo alla casa della vecchia Marta. Ella non può venire, che ha una flussione, un reuma, che so io? un malanno al ginocchio sinistro. Però m'ha detto di portarglielo, che in meno di due dì ce lo dà bello e vispo, come se non fosse stato nulla. Già non è ancora mattino fatto, e nessuno va in volta a quest'ora: e poi lo copriremo in guisa che parrà un'intera armatura. Lasciate fare a me che accomoderò la faccenda.
      - Tutto ciò va bene, ma ci vorrebbe una lettiga per mettervelo a giacere con comodità.
      - A questo ho già pensato io. Prima di salire quassù ho detto una parola a Tonio, il quale sta già apprestando le tavole e vi adatterà i travicelli per sostenerle. Noi vi porremo il cane e lo copriremo con quel saccone che sta giù in bottega, di sotto lasceremo che esca un po' di manopola o di gambale, perchè nessuno faccia giudizii temerarii su quel che portiamo. Infine, vedrete che le faccende si volgeranno al meglio.
      - Bravo Martino, disse l'armajuolo, aprendo le braccia quasi in atto di stringerlo al seno; l'ho sempre detto che in certe cose vali un tesoro. Ora sarai consolata, Cecilia, non è vero?
      La Cecilia non rispose, ma innalzò gli occhi al cielo e sospirò.
      - Che? che? sei ancora malinconica e ingrugnata! Non t'è uscito dal capo quel pensiero di stregoneria e di maleficio?
      - Oh! non ci penso più, rispose con accento di rassegnazione la Cecilia.
      - Così va bene, disse l'armajuolo; poi affacciatosi alla scaletta gridò; ehi, Tonio, sei a tiro con quell'ordigno?


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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