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      Al punto in cui lo piglia il nostro racconto Barnabò Visconti governava da diecinove anni lo stato di Milano, partito già in due eguali porzioni tra lui e il fratello Galeazzo. Uscito per materna origine dalla famiglia dei Doria, donde gli venne il nome di Barnabò, parve avere da essa ereditato anche l'animo indomito e l'ingegno guerresco e feroce, imitando in ciò i suoi maggiori Branca, Pagano, Lamba e Luciano dei Doria, i quali educati fra le battaglie, avevan nome di terribili e fieri molto. Barnabò poi oltre ad un invitto vigor d'animo, possedeva certa naturale severità, quasi selvaggia, per lo che ardentemente bramava la guerra, e in essa tutto si compiaceva. Nè in quei tempi di prepotenza e di barbarie mancavano le occasioni per esercitarvisi, perchè nè pace ferma nè tregua durava a lungo tra gente sospettosa e sempre intenta a nuocersi. Fin dal suo primo salire al governo, egli erasi tirati contro i maneggi degli Estensi, dei Gonzaghi e del Marchese di Monferrato, i quali avevano indotto Marquardo Vescovo d'Ausburg, vicario imperiale in Pisa, a citare i due fratelli Visconti al suo tribunale perchè si discolpassero di molti reati specialmente in fatto di lesa religione. Ma nè l'uno nè l'altro, come è da credersi, pensarono ad andarvi, ond'è che il Vicario radunate le forze dei collegati era piombato sul Milanese, e aveva tolte molte città ai Visconti, e forse insignorivasi di Milano se non era Lodrisio Visconti che lo mise in rotta a Casorate. Non perciò gli animi dei principi erano sedati, ma ribollivano più fieri che prima a danno dei Visconti, e tanto operarono che nei primi quattro anni del loro dominio perdettero Bologna, Genova, Asti e Pavia, il che non era piccolo detrimento al Milanese.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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