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      Qual fosse la condizione di Milano sotto il suo reggimento, è facile ravvisare e dalle vicende guerresche, e dalle desolazioni della peste, e dalle continue estorsioni, e dalle leggi nuove per inaudita barbarie. E tuttavia in mezzo alle tribolazioni che travagliarono il suo dominio, maritò nove figliuole legittime coi più illustri principi dell'Europa, e due naturali con insigni capitani, spendendo per esse in doti e corredo più che due milioni di fiorini d'oro. Tutte queste larghezze e munificenze cadevano sempre a danno de' poveri cittadini, i quali smunti, taglieggiati, oppressi, avevano di grazia a campar la vita e uscire colle membra intatte dalle mani del Duca. Imperocchè oltre a quella crudelissima legge già accennata nel primo capitolo, per la quale si condannavano alle forche ed avevano i beni confiscati coloro che avevano ucciso o solo mangiato del cinghiale nel periodo di cinque anni anteriori alla legge stessa, infiniti altri editti non meno feroci angariavano lo stato. Uno di questi proibiva che nessun cittadino potesse correre le strade di notte sotto pena del taglio di un piede; un altro comandava agli ecclesiastici che dovessero inginocchiarsi per le vie quando avveniva loro d'incontrarlo; un terzo ordinava che nessun prete potesse allontanarsi dal luogo della sua dimora sotto pena d'essere abbruciato vivo; un altro proibiva a tutti i cittadini di chiamarsi Guelfi o Ghibellini, pena il taglio della lingua; un altro ancora stabiliva che nessun giudice toccasse un quattrino di stipendio, finchè non avesse condannato nel capo un uccisor di pernici; e così via via.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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