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      Nè sui soli cittadini sfogavasi la sua capricciosa ferocia, ma sugli stranieri ben anco e sopra uomini distinti per autorità e per natali. L'incontro di Barnabò coi legati del Pontefice sul ponte del Lambro, l'appiccamento di Francesco Fogliano, e il cattivo procedere contro i ministri dei principi collegati, sono prova di ciò. Questi ultimi essendo venuti in Milano trattare dell'accordo con Barnabò, non poterono parlargli, ma dovettero esporre la loro ambasciata davanti un notaio; poi cinti da una schiera d'armati, e costretti ad indossare una veste bianca in segno d'ignominia, stettero così per più di due ore davanti al suo palazzo, abbandonati allo scherno della plebe. Finalmente uscito Barnabò, egli medesimo si pose a capo della schiera, e, percorse tutte le vie della città in mezzo agl'insulti della ribaldaglia scortò i due messi fino al confine.
      La maggiore e la più strana delle crudeltà toccò ai cittadini a cagione della straordinaria tenerezza ch'ei nutriva pei cani. Siccome egli amava singolarmente la caccia, così teneva gran numero di quegli animali, e parte dava in custodia a' cittadini facoltosi, parte a' contadini, che ne traevano un giornaliero stipendio: il restante raccoglievasi in un lato del suo palazzo di s. Giovanni alla Conca, detto anche oggidì la Casa dei Cani. Fra questi e quelli sommavano a più di cinquemila. Due volte al mese i canattieri facevano nel palazzo stesso una rassegna dei cani commessi ai cittadini, alla qual rassegna assisteva spesso il Duca.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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