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      Se il cane era dimagrato o ingrassato, colui che lo teneva in custodia, era multato nelle sostanze: guai chi l'avesse reso inetto alla caccia, o l'avesse lasciato morire! Donde il terrore grande che aveva ciascheduno e la soverchia potenza dei canattieri, i quali erano rispettati e riveriti meglio che giudici o governatori. E n'avevano diritto, perocchč nelle loro mani stavano le sostanze e le vite di gran numero di persone, e dal loro giudizio, inappellabile sempre, dipendevano le sorti di quei meschini, cui il sopruso o la necessitą aveva imposto cosģ fatta gravezza. Abbiam detto necessitą, perchč in questa stessa crudeltą era alcun lato buono, siccome sempre avviene delle cose di questo mondo; e frequente era il caso che un poveretto ridotto al verde, come gią il nostro armajuoio, traesse sussistenza da questa strana industria. Tant'e tanto l'assegnamento che facevasi a ciaschedun cane valeva a sfamare qualche galantuomo; e sebbene fosse un camminare sull'orlo del precipizio, e cacciare, come si dice, da per sč il collo nel capestro, tuttavia uno poteva anche con siffatta paura campar la vita. Infine meglio il pericolo del male che il male stesso. Oltredichč il mantenimento di tutti questi cani, che stavano rinchiusi nel palazzo, parte liberi, parte assicurati, richiedeva gran consumo di cibo d'ogni fatta, e Dio sa, se per essi si misurava il mangiare. La cittą poteva ben ispopolarsi di gente e sfinire per la peste e per la carestia: nella Casa dei Cani si sbavazzava sempre ed era abbondanza di tutto.


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La cą dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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