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      Quanto poi alle consuetudini della corte, ei non menava splendida vita, degenerando in ciò da tutti i suoi antecessori, spezialmente dagli zii Luchino e Giovanni i quali tenevano corte oltremodo magnifica. Il nostro cronista dice che Barnabò era economo come una massaja e non dava da mangiare ad alcuno; il maggior numero de' convitati era di cinque persone, vale a dire, due vicarii e tre consiglieri, e anche con questi si faceva tavola molto meschina. Per contrapposto egli era pazzamente largo nell'edificare, perchè oltre all'aver ampliato e ridotto a guisa di fortezza il suo palazzo di s. Giovanni alla Conca, aveva edificato due altri castelli, uno a Porta Nuova, del quale si perdette ogni vestigio, e un altro a Porta Romana che stendevasi dalla basilica di s. Nazaro fino a quella di s. Stefano, precisamente nel luogo ov'è adesso lo Spedale Maggiore. Pei quali castelli e per gli altri eretti a Marignano, a Trezzo, a Brescia e altrove, ei non ispese meno di quattro milioni di fiorini d'oro. Somma ingentissima a' quei tempi, se si consideri il valor dell'oro che doveva essere di gran lunga maggiore di quel che sia adesso, e più se si ponga mente all'entrate annue di Barnabò, le quali tra comuni e straordinarie, toccavano appena centosessantamila fiorini d'oro. Il qual reddito non che principesco, ma poco più che da signore privato, fa parere ancora più straordinaria la ricchezza trovata nei palazzi del Duca quando vennero saccheggiati dal popolo; perocchè raccontano gli storici che nella sola fortezza di Porta Romana trovaronsi settecentomila fiorini d'oro, e tanto argento da caricarne sei carri.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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