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      Or vedasi donde e da chi potesse egli cavare tanto tesoro, e come dovessero stare i poveri sudditi a fronte di sì smisurata ingordigia.
      E tuttavia il nostro cronista afferma, e con lui molti fra i più riputati storici, che Barnabò non gettava il danaro capricciosamente; che non vendeva i posti, ma davali gratuitamente a uomini meritevoli, nè quando li trovasse atti, li rimoveva più, che pagava esattamente e attendeva sempre più delle promesse: che non mancava di coraggio nè di militare perizia; che era liberale coi poveri, veridico, amante della giustizia e costante. Soprattuto ch'ei sapeva farsi servire a puntino; di che saranno persuasi i lettori, i quali hanno già scorto di che pelo fosse quel principe. Se non che, soggiungono poscia gli storici più coscienziosi, esso era temerario e tenace della propria opinione, impaziente, collerico al massimo grado. Negli impeti che spesso lo pigliavano e lo facevano uscire in ismanie terribili, diveniva crudele a guisa di fiera, e non aveva rispetto nè ad uomini, nè a Dio, e neppure a sè stesso. In quegli accessi nessuno osava accostarsi a lui, eccetto la moglie, Regina della Scala, la quale, tutta dolcezza e soavità di maniere, riusciva quasi sempre a temperare quella soverchia ira. Un'altra donna, colla quale aveva molta dimestichezza, e che egli amò assai, valeva pure a infondergli più miti pensieri, e costei fu Donnina dei Porri, che taluni vollero perfino sua moglie, la sola che abbia confortato la prigionia e gli ultimi momenti di quell'uomo singolare.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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